bootstrap builder

Casalmaggiore nello specchio del catasto


La rapida ricerca svolta nel precedente articolo riguardo alla preparazione, esecuzione ed entrata in vigore del catasto teresiano (da tener ben presente anche per quanto si dirà in seguito) trova opportuna conclusione nell’esame di quanto esso potè rilevare in merito alla distribuzione della proprietà edilizia e fondiaria nel centro urbano di Casalmaggiore e nelle sue Ville.
Per rendere lo Stato giusto e non tirannico e il cittadino onesto e responsabile verso il bene comune, per fondare il sistema fiscale su basi certe e oggettive, sappiamo che il censimento volle innanzi tutto accertare le proprietà e la ricchezza di ciascuno mediante una completa ricognizione del territorio, che venne delineato in tavole di una chiarezza e precisione incomparabilmente superiori a tutte le precedenti e tali da costituire il modello, spesso insuperato, di ogni successiva rappresentazione topografica.
Purtroppo di tutte le operazioni condotte per definire il nuovo estimo ben poco è rimasto nel nostro Archivio Storico Comunale, che in materia ha subito nel tempo irrimediabili amputazioni. La cartella 114 contiene solamente le mappe di gran parte delle Ville, ma non del capoluogo, mentre per tutta la rimanente documentazione bisogna rivolgersi agli Archivi di Stato di Milano e di Cremona, presso i quali si conservano i“sommarioni” e i “catastini”, i registri cioè che presentano l’elenco alfabetico dei proprietari delle singole “particelle catastali”, con la relativa misurazione e la stima del valore capitale.
Viene qui riprodotta la tavola 186 del fondo Catasto dell’Archivio di Cremona, contenente la mappa del centro urbano di Casalmaggiore tracciata dai misuratori nel 1723, riprendendola per comodità dalla copia allegata ad un’importante opera, che ha indagato nella maniera più attenta e scrupolosa la vicenda e i risultati della riforma fiscale in Cremona e nella sua provincia, compreso il Casalasco: I. N. Jacopetti-G. F. Manfredini, Il Settecento a Cremona (1700-1760), Cremona 2002. Per la lettura della tavola mi sono invece servito dei “catastini”, sempre del fondo Catasto dell’Archivio di Cremona, redatti nel 1751 “dagli Ingegneri della Real Giunta del Censimento”, aggiornando i precedenti “sommarioni”.
Osservando la mappa, notiamo innanzi tutto, oltre a un assetto urbanistico rimasto pressoché immutato, che gli edifici dei “luoghi sacri, religiosi e pubblici” sono distinti dagli altri e contrassegnati non da numeri, ma da lettere maiuscole, in quanto essi non erano soggetti a tassazione, anche se regolarmente stimati (per un confronto, si può notare che il palazzo comunale è stimato scudi 298, Santo Stefano, la chiesa di maggior pregio, scudi 633, Santa Chiara scudi 625) . L’elenco che ne viene fornito ci aiuta a identificarli sulla carta:

A - Chiesa sotto il titolo di Santa Maria. Oratorio della Confraternita della Buona Morte
B - Luogo Pio Ospitale della Città di Casalmaggiore. Chiesa e casa degli Infermi
C - Chiesa oratorio di San Rocco e stanza per la Confratenita, col cimitero interiore
D - Città di Casalmaggiore. Casa per il barigello e carceri
E - Chiesa parrocchiale di San Leonardo, cimitero e casa del parroco
F - Chiesa oratorio sotto il titolo di Santa Lucia
G - Città di Casalmaggiore. Casa del Pubblico in cui si riunisce anche il Consiglio e serve di Pretorio
H - Chiesa sotto il titolo di Santa Croce e Collegio dei Chierici regolari di San Paolo
I - Chiesa della Trinità col luogo pio detto Ospedale degli Orfani
K - Chiesa col titolo di San Cristoforo e luogo pio detto Ospedale delle Orfane
L - Monastero delle Monache Francescane di Santa Chiara
M - Chiesa della Cappelletta e chiesa di San Giovanni col cimitero e casa del cappellano
N - Chiesa e convento dei Padri Conventuali di San Francesco
O - Chiesa archipresbiteriale di Santo Stefano con abitazione del parroco
P - Cappelletta distrutta
Q - Chiesa oratorio di San Sebastiano
R - Chiesa di San Lorenzo col Convento dei Padri Francescani detti Cappuccini.

Le proprietà immobiliari soggette al fisco vennero invece censite, partendo da oriente e procedendo verso occidente, in mappali numerati progressivamente da 1 a 610 per il centro urbano e da 611 a 674 per i terreni golenali incolti o boschivi. Nel 1751 a ciascun immobile venne assegnato il valore capitale, stimato in base alla rendita derivante dalla sua locazione reale o presunta (per le case di propria abitazione). Si applicavano quindi a questa rendita lorda le deduzioni consentite e si otteneva così la rendita netta annua, che rappresentava il 4% del valore capitale del bene censito. Questo valore veniva infine tradotto in scudi di 6 lire ciascuno, in lire e in ottavi di lira. Spieghiamoci con un esempio: se per ipotesi gli ingegneri addetti alla stima calcolavano, sulla base dei prezzi correnti sul mercato e delle consuetudini del luogo, che la locazione di una certa casa poteva rendere annualmente 10 scudi netti, questo veniva considerato il 4% del suo valore capitale, che risultava perciò di scudi 250. Con questo stesso metodo venne definito il valore fiscale anche dei terreni.
Ogni anno poi ciascuna Comunità redigeva un bilancio preventivo, in cui erano iscritte le spese previste per il funzionamento dello Stato, della Provincia e della stessa Comunità; quindi, dopo aver stabilito la quota spettante alla tassa “reale” (quella, come ho già spiegato, che ricadeva su case e terreni), ogni scudo d’estimo veniva tassato per l’importo necessario a coprire le necessità. La base tassabile rimaneva perciò fissa, anche se la cifra assoluta aveva ogni anno leggere variazioni, mantenendosi a lungo intorno a soldi 2 e denari 3 per scudo d’estimo.
Il valore capitale degli immobili dell’intero centro urbano venne determinato in scudi 63.216, mentre il territorio venne stimato globalmente scudi 1.057.270 (qui e in seguito le cifre sono arrotondate, senza tener conto delle lire e degli ottavi di lira). Questi valori vennero mantenuti fino all’età napoleonica.

Cerchiamo ora di vedere com’era distribuita la proprietà immobiliare in Casalmaggiore. Il numero di mappale, chiaramente leggibile, rende gli edifici perfettamente identificabili.
Il Comune non era molto ricco: oltre alle carceri, alla sua sede e all’oratorio di Santa Lucia (lettere D, F e G), possedeva l’ufficio della macina (n.177), varie caserme site tra le attuali via Saffi e Via Vaghi (nn. 174, 183, 184, 185, 189), la pesa del fieno (n. 226) nell’attuale piazza Turati, il Monte di Pietà all’inizio di via Cavour (n. 458). Il loro complessivo valore capitale assommava a scudi 881.
Relativamente pochi e di poco pregio erano anche gli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici, la cui cospicua ricchezza si basava sulle estesissime proprietà fondiarie poste nelle Ville.
La meglio dotata era la mensa vescovile di Cremona, che risultava proprietaria dei mappali 332 (un vasto terreno agricolo a lato dell’odierna via Corsica), 344 (un vastissimo appezzamento di terreno aratorio-avitato esteso tra via Mazzola e l’attuale cimitero, del valore di ben 1123 scudi), 505, 506, 507, 515, 548. In totale queste proprietà valgono scudi 1986.
L’arcipresbiterale di Santo Stefano possiede i mappali 520 (ortaglia) e 521 (prato), che valgono 385 scudi d’estimo; la parrocchiale di San Leonardo due modestissimi mappali (118 e 336), stimati appena 53 scudi.
Anche la dotazione degli altari di patronato è limitata: l’altare del SS. Sacramento di Santo Stefano possiede, ad esempio, due mappali (57 e 63) per 79 scudi; il beneficio di Sant’Antonio da Padova in San Leonardo possiede due ampie proprietà (70, 71) valutate 402 scudi. Qualcosa di più possiedono le confraternite: ad esempio, quella di Santo Spirito nell’oratorio di San Rocco ha proprietà per 413 scudi (la maggiore è il terreno dietro la chiesa, mappali 83-84).
I patrimoni degli ordini regolari hanno una certa consistenza, anche se pure in questo caso i maggiori beni sono i terreni situati nelle Ville. I Padri Barnabiti possiedono in città immobili per 1285 scudi (sette mappali), i Padri Minori Conventuali di San Francesco per 1184 scudi (tredici mappali), i Padri Serviti della Fontana per 426 scudi (sei mappali), le Monache di Santa Chiara per 325 scudi (sei mappali).
I luoghi pii sono ugualmente ben dotati di fondi agricoli, ma in città possiedono poco: l’Ospitale degli Infermi ha solo un piccolo immobile (mappale 69) che vale 83 scudi, gli Orfani della SS. Trinità solo il mappale 264, di 62 scudi, mentre alle Orfane di San Cristoforo spettano due bei mappali in centro (225 e 376) per complessivi sc. 551.

Gran parte del patrimonio edilizio appartiene dunque, com’è naturale, ai privati e soprattutto alle grandi famiglie della nobiltà, del patriziato, della maggiore borghesia, che formano l’oligarchia cittadina e, con larghissima autonomia rispetto allo Stato, detengono tutto il potere anche nel Consiglio decurionale, regolando nel proprio interesse tutta l’amministrazione pubblica. Il loro prestigio e la loro ricchezza si autocelebrano nella magnificenza dei loro palazzi di città e nelle ville signorili costruite nelle vaste tenute di campagna, dove essi risiedono per buona parte dell’anno.  In questa sede posso riportare solo il nudo elenco degli edifici più significativi e dei loro proprietari.
Il marchese Pietro Francesco Araldi risiede nel palazzo dell’attuale via Cavour all’angolo di fronte a San Francesco, mappale 482, che vale 416 scudi. I fratelli Evaristo e Giovanni Busi, che devono ancora acquistare il titolo di conte dal duca di Parma, sono proprietari dell’edificio al mappale 540 (valore sc. 416) e di altri minori, per un totale di sc. 527. Il conte Giuseppe De Pedretti Pazzini ha l’abitazione in via Cavour, al mappale 267, del valore di sc. 215. I Fadigati, non ancora ascesi ai fasti dell’età napoleonica, possiedono, divisi in tre nuclei, i mappali 19, 200 e 250, per circa 460 scudi. Il conte Annibale Favagrossa risiede nel palazzo dell’attuale via Marconi (mappale 257), che vale sc. 368. Il marchese Filippo Gozzi abita al mappale 435 (valore sc. 326), ma possiede altre proprietà, per complessivi sc. 631. Al decurione e giurisperito Rinaldo Guadagni appartenevano tre ampi mappali (262, 263, 281) estesi, lungo la via Bixio, tra via Marconi e via Martelli, valutati 421 scudi. Il conte Raimondo Magnoni possiede l’attuale Casa Melzi al mappale 404, stimata sc. 340, ma anche altri otto immobili, per complessivi 962 scudi. Paolo Marcheselli, di antica famiglia di professionisti, risiede in uno dei palazzi più prestigiosi della città, al mappale 246 (la sede attuale di Banca Intesa) del valore di sc. 508, secondo solo a quello del marchese Vaini. A un altro Marcheselli, Francesco, appartiene il mappale 272 (valore sc. 277), in via Cavour; egli ha come vicino, al 273, Giulio Cesare Cavalli, il cui palazzo vale sc. 426. I Molossi, non nobili, ma da sempre nel patriziato decurionale, spesso con diversi membri, sono una consorteria composta di sette nuclei familiari, fra i quali spiccano Molossi Angelo e Antonio Maria, che hanno proprietà contigue in via Cavour: il primo ai mappali 269, 282, 283, per un valore di sc. 547, il secondo ai mappali 271 e 284 per un valore di sc. 416; in via Baldesio, attuale palazzo Porcelli, risiedono invece Molossi Clemente (nn. 410.1, 411.2, 412.2, per totali sc. 348) e Pietro Baldassarre (nn. 410.2, 411.1, 412.1, per totali sc. 213). Il dottor Angelo Negri, avvocato fiscale della città, per la quale svolse molti incarichi pubblici, risiede anch’egli nella parte nobile di via Cavour, al mappale 268 (valore sc. 208), ma ha pure altre proprietà, per un totale di sc. 721. I Ponzoni hanno in Casalmaggiore proprietà relativamente modeste: la maggiore è di Zaccaria, che ha il mappale 439, attuale Casa Bastoni, che vale sc. 233. Gli attuali palazzi Mina e Fadigati in via Favagrossa appartengono alla marchesa Maria Elisabetta Scarenzi (mappali 483 e 485), stimati sc. 387. Chiudo questo elenco parziale con il marchese Giulio Cesare Vaini, che abita nel palazzo cittadino di maggior pregio (548 scudi) al mappale 266, che fiancheggia buon tratto dell’inizio di via Cavour.
A distanza di 250 anni, cosa resta di tanta ricchezza e potere? Nessuna di queste grandi famiglie risiede più in Casalmaggiore con i propri discendenti e gran parte di esse sono ormai estinte. Verrebbe da concludere con Lee Master e De Andrè: Tutti, tutti ora dormono sulla collina, o, forse meglio, con Dante: Udir come le schiatte si disfanno/ non ti parrà nova cosa né forte/ poscia che le cittadi termine hanno.

Archivio di Stato di Cremona, Mappa della città di Casalmaggiore, 1723
Mobirise
Pubblicato su "Casalmaggiore", bimestrale a cura
dell'Associazione Pro Loco di Casalmaggiore
Giugno 2009

Scarica il documento pdf